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L’Italia è una Repubblica fondata sulla beneficenza a Berlusconi.

Si vive per lavorare, si lavora per mangiare, ergo si vive per mangiare.

Secoli di elogi del superiore intelletto umano, oceani di parole per glorificare le mirabolanti e sconfinate capacità dell’ingegno umano e poi l’ineluttabile realtà è che si vive per soddisfare i bisogni della propria pancia, come una scimmia qualsiasi.

Treni

Vi muovete intorno a me. Crescete… forse sarebbe meglio dire invecchiate. Vi sposate. Procreate. Correte forsennati da una parte all’altra. Mentre io me ne sto qui fermo a chiedermi chi cazzo sono e dove cazzo devo andare.

Siete treni che seguono il loro binario, senza sapere dove porti e perché lo si debba percorrere. Ma non importa. Se sei un treno, segui il binario, è così che deve essere.

Io invece sto qui e mi domando: “Ma perché bisogna seguire questo binario? Perché bisogna andare da questa parte? E se volessi andare di là? E poi perché devo essere un treno? Se volessi essere una bicicletta? O un sottomarino?”

Io sono un treno che ha deragliato prima ancora di partire.

Così sto qui, seduto su una panchina della stazione, a guardare treni in partenza che si allontanano e treni in arrivo che si avvicinano, treni vecchi e scassati che vengono rottamati nei depositi e treni nuovi e luccicanti che escono dalle fabbriche. E mi chiedo chi cazzo sono e dove cazzo devo andare.

Orgoglio anormale

«Voglio diventi una persona normale!» è solito dire mio padre riferendosi a me. Non vedo cosa ci sia di così bello nell’essere normale. Certo, io sono pazzo, lo so benissimo e lo riconosco senza alcun problema. Ma anche i normali sono pazzi.

La normalità è solo la forma più diffusa di pazzia.

Quindi diventare normale significherebbe solo cambiare tipo di pazzia. Quale progresso c’è in questo? Bisogna aspirare alla sanità mentale, non certo ad essere pazzi in un altro modo.

Certo, riconosco che essere normali possa rendere più facile vivere in questo mondo, dato che esso è stato creato dai normali ed è quindi folle come loro. Così come essere nazisti nella Germania degli anni trenta avrebbe reso estremamente più agevole vivere in quel paese. Ma essere nazisti è giusto?

Comprendo che se mi dedicassi anch’io alla venerazione della Santissima Trinità “Casa-Lavoro-Famiglia” mi sarebbe forse risparmiato il destino di solitudine e sofferenza che invece mi si prospetta.

O forse no. Forse patirei lo stesso.

Ogni volta che provo a votare la mia esistenza alla Santissima Trinità della Normalità, una vocina, tenace e fastidiosamente insistente, mugugna nel fondo della mia anima: «C’è solo questo? È tutto qui quel che può esserci nella vita? Solo questo?».

 

La miglior vita

Cosa preferireste essere? I più risponderanno un miliardario, molti altri un attore di Hollywood, pochi un premio Nobel. Qualcuno vorrebbe essere un uccello per volare liberamente nel cielo, qualcun altro un pesce per immergersi liberamente nelle acque.

Io sarei tanto voluto nascere sasso.

Un sasso non ha bisogno di mangiare, bere, orinare e defecare. Un sasso non patisce alcuna malattia. Un sasso non pensa, non soffre, non sogna.

Nessuno si aspetta qualcosa da un sasso, nessuno pretende qualcosa da un sasso, nessuno rompe i coglioni a un sasso.

Ah, che bella vita!

Succede che passi tutta la giornata a pensare quanto sia importante per te la tua camera, di quanto tu ne abbia bisogno. Pensi che riesci a stare là fuori nel mondo pazzo, a fare le cose assurde che bisogna fare nel mondo pazzo, solo perché sai che poi potrai tornare nel tuo rifugio sicuro.

Poi, alla fine di questa giornata, prima di andare a dormire, succede che all’improvviso arriva una scossa di terremoto: è breve, dura solo poco secondi, ed ha un’intensità che i sismologi definiscono minore. Eppure basta perché ti si fermi il cuore per lo spavento: il boato simile a un tuono e soprattutto lo stridio sordo e cupo dei muri, come se fossero stritolati da una mano gigantesca.

Nel panico noti un’inquietante coincidenza: per tutto il giorno ti sei cullato nel pensiero di quanto fosse importante e irrinunciabile la tua oasi, e poi qualcosa ti fa notare bruscamente che essa può essere spazzata via in pochi istanti. Pensi che forse Dio ti abbia voluto mandare un messaggio: non ti attaccare troppo al tuo eremo, non dipenderne, impara ad allontanartene. Rammenti che nel Medioevo molti ritennero la peste del 1348 un ammonimento divino, se non un vero e proprio castigo per i peccati e le colpe degli uomini.

Poi, man mano che il cuore riprende il suo battito regolare e un flusso sano di ossigeno torna al cervello, cerchi di vedere le cose con più lucidità. La ragione ti dice che si tratta solo di una casualità. E poi la peste nera fu causata da batteri diffusi dalle pulci dei ratti, mica da Dio (a meno che le pulci dei ratti non siano Dio…).

Eppure la coincidenza è suggestiva, ti dispiace quasi abbandonare l’idea che Dio abbia voluto dirti qualcosa. Però non puoi fare a meno di chiederti perché, invece di disastri e catastrofi, non possa mandarti un fax, una e-mail, o anche una vecchia lettera con francobollo.

Allora succede che alzi il viso al cielo ed esclami: «Dio, la prossima volta che mi devi dire qualcosa, mandami un cazzo di sms come fanno tutti!».

Se non ricordo male (e potrei ricordare male, dato che son passati tanti anni da quando l’ho letto) nel Sutra del Loto il Buddha predice ad alcuni degli illustri e saggi personaggi accorsi ad ascoltarlo che anch’essi raggiungeranno il risveglio e diventeranno dei Buddha trascorsi quattro milioni di miliardi di anni (sparo un numero a caso, ma mi pare di ricordare fosse una cifra altissima). Gli interessati giubilano alla rivelazione. Un occidentale, allevato dalla cultura del fast-food, riterrebbe le parole del Buddha una presa in giro, considererebbe quattro milioni di miliardi di anni sinonimo di mai. Gli illustri monaci e bodhisattva del Sutra del Loto, invece, reagiscono con somma gioia, probabilmente perché sanno, nella loro profonda saggezza, che quattro milioni di miliardi di anni per diventare un Buddha sono persino pochi e vale la pena aspettare.

Dovrei davvero imparare la loro pazienza, mi tornerebbe utile per stare tra le scimmie umane nel loro stupido mondo. Magari tra quattro milioni di miliardi di anni saranno capaci di creare un mondo che non sia folle e disumano. In fondo qualche progresso l’hanno già fatto: sono più puliti, si lavano di più, riescono a curare o almeno a tenere sotto controllo malattie che nel passato li decimavano, sono un po’ più civili, si indignano di più per soprusi ed ingiustizie. Certo, sono lenti, lentissimi, più che scimmie sono lumache. Però forse tra quattro milioni di miliardi di anni capiranno, vedranno quello che io già vedo. Nel frattempo, purtroppo, a me toccheranno innumerevoli pene e sofferenze, straniero in terra straniera, sperduto su una palla di merda che mi soffoca, in un manicomio che non comprendo.

Insomma, se sei un chiodo nel paese dei martelli ti toccano un sacco di botte sulla testa. Ora, ho capito che magari tra quattro milioni di miliardi di anni tutti i martelli saranno diventati chiodi, però io intanto mi sarò beccato quattro milioni di miliardi di anni di martellate sulla testa. Permettete almeno che mi girino un po’ i coglioni.

Addio alle scene

Non ho più voglia di vivere, mi piacerebbe solo vedere come andrà a finire.

Vorrei vedere quante cazzate faranno e diranno ancora gli uomini e quante di queste attribuiranno a Dio. “Dio lo dice!”, “Dio lo vuole!”. Dio non ha mai detto e non ha mai voluto un cazzo.

Vorrei vedere quando, e soprattutto se, gli abitanti di questo pianeta evolveranno da stupide scimmie in esseri umani.

Vorrei vedere quanto seguiteranno a praticare ed idolatrare quella disumana forma di follia chiamata “normalità”.

Voglio scendere dal palco, accomodarmi in platea e da lì assistere alla patetica e grottesca commedia che l’umanità recita da millenni. Non ho più voglia di partecipare alla rappresentazione, di restare in scena a recitare una parte opprimente e dolorosa, da comprimario o protagonista poco importa. Ma sono davvero curioso di vedere quale sarà il prosieguo e soprattutto il finale dello spettacolo.

Non più attore, ma solo spettatore.

E poi? Quale mondo dopo le fiamme? Senza dubbio un mondo in nessun modo gestito dagli esseri umani. Un mondo in cui agli esseri umani sia concesso dedicarsi solo ad attività del tutto innocue: ballare, cantare, dipingere, passeggiare, nuotare, leggere, scrivere, guardare le nuvole, sospirare. Le attività necessarie al sostentamento degli uomini dovranno essere affidate a delle macchine. Serie, fredde, razionali macchine che si occupino di agricoltura senza avvelenare la terra per mero lucro ed ingordigia. Serie, fredde, razionali macchine che si occupino di edilizia senza seppellire tutto sotto il cemento per mero lucro ed ingordigia. Serie, fredde, razionali macchine, del tutto prive delle perniciose passioni ed emozioni umane. A loro sia affidato il compito di gestire il mondo.

Altrove in questo blog (E Dio disse:«Crea!») ho scritto che Dio affidò all’uomo il compito di co-creare il mondo insieme a lui. Ebbene, l’uomo ha fallito. È tempo per l’umanità di essere licenziata, o di andare in pensione, accudita da badanti-robot.

Torni il padrone della vigna e cacci i vignaioli incapaci.

S’io fossi fuoco

Capirò mai perché gli esseri umani abbiano creato un mondo così disumano da essere costretti a drogarsi per riuscire a starci? E soprattutto capirò mai perché a questo povero stupido mondo non si possa semplicemente dare fuoco?

Prendete questa crisi finanziaria ed economica. Che senso ha continuare a foraggiare di zecchini d’oro il Gatto e la Volpe? Non sarebbe meglio dar loro allegramente fuoco?

Siamo così abituati a mangiare merda, bere meda, respirare merda, da pensare di non poter vivere senza? Siam così abituati a stare in un mondo di merda dove gli stronzi regnano sovrani da pensare di non poterne fare a meno?

Perché non si può prendere questo bel mondo di merda e, tranquillamente, serenamente, festosamente, dargli fuoco?